Oggi ti racconto una leggenda sui nomadi del Kazakistan, che potrebbe benissimo diventare uno dei miti fondativi del viaggiatore moderno.
Nel dizionario turco-arabo del XIII secolo, la parola “Kazakh” significa indipendente, libero, ma anche nomade. I kazaki, infatti, discendono da tribù nomadi turche e mongole che migrarono nella regione dell’attuale Kazakistan nel XII secolo, dando vita ad un regno unitario.
Ad oggi solo l’1 per cento della popolazione kazaka è nomade, a causa dei problemi politici ai tempi dell’unione sovietica. Rimangono però nella cultura kazaka moltissime leggende sui nomadi, sulle loro vite e sulla loro nascita.
Quella che ti racconto ora è una leggenda turca sulle origini dell’uomo, in questo caso più dell’uomo nomade, ma potrebbe benissimo essere, come vedremo, una leggenda sulla nascita del viaggiatore moderno.
L’inizio
Come tutte le storie cosmogoniche e sulle origini dell’uomo, l’inizio rimanda sempre ad uno spazio vuoto, con degli dei creatori che sono in un luogo imprecisato di questo vuoto. Sono lì, bevono qualchè caffè macchiato insieme e capiscono che tutto ciò è di una noia mortale, così decidono di creare qualcosa da poter guardare per divertirsi.
E questa leggenda non fa eccezione.
All’inizio c’era solo un immenso cielo blu, e per quanto le nuvole possano essere stimolanti da guardare, gli dei decisero di creare il mondo, e lo popolarono di creature che vivevano in pace e armonia. Ma mancava ancora qualcosa per completare il progetto.
Così decisero di creare l’uomo.
Come nelle migliori storie distopiche, tutto iniziò in un intenso giorno di pioggia. Continuò a piovere giorno e notte, fino a che grazie alla pioggia le montagne divennero argilla. Gli dei la modellarono, e dandogli il soffio vitale, crearono finalmente l’uomo.
Gli dei gli dissero di prendersi cura del mondo e di conoscerlo, che a pensarci bene è una cosa bellissima da dire a una tua creazione.
L’uomo però, guardandosi intorno, vide che il mondo era enorme e disse che non avrebbe potuto conoscere e prendersi cura di uno spazio così vasto. (Spezzando una lancia in favore di quest’uomo, potrei comunque dire che il Kazakistan è dannatamente grande, quasi dieci volte l’Italia, con un clima assurdo e paesaggi inospitali)
L’esplorazione
Gli dei capirono che era un’impresa più che ardua, così gli diedero un puledro (come a noi viaggiatori moderni ha dato le low cost) e con lui iniziò a girare il mondo, a vederne tutte le bellezze e a prendersi cura di tutto quello che trovava. E iniziò così ad apprenderne i segreti della terra grazie al cavallo magico.
L’uomo guardava il mondo, lo ammirava, voleva ringraziare gli dei per questo, ma non sapeva come fare. Così gli dei gli diedero un Kobyz, uno strumento musicale a corda con cui l’uomo esprimeva i propri sentimenti (per il viaggiatore moderno ha pensato al laptop).
L’uomo divenne così il Korkyt-Ata, l’immortale narratore e musicista delle favole. (blogger)
L’uomo continuava a suonare ma si sentiva triste e solo. Cominciò a chiedersi perché tutte le creature vivessero in coppie, così riprese il suo esplorare e trovò una strana figura davanti al fuoco, una donna. Quando questa gli sorrise venne invaso da un forte senso di benessere e da un sacco di energia.
Decisero così di viaggiare insieme. Nacque così anche l’Amore, che trasforma tutto in gioia.
Gli dei diedero alla coppia il kazan per cucinare (fornelletto portatile) e l’arco per cacciare (reflex). Così le prime persone poterono cacciare, preparare e conservare il cibo. Il Kazan e l’arco sono i simboli delle abilità che portano prosperità ai popoli.
La yurta
Dopo un po’ la coppia ebbe un bambino e l’uomo, preoccupato, iniziò a pensare al futuro e ad una casa. Ma che casa può avere una persona che viaggia sempre? Una casa che puoi portare con te. L’uomo per avere maggiore ispirazione iniziò a suonare il kobyz (laptop). E lì successe il miracolo. L’anima dell’uomo iniziò a librarsi sul mondo e iniziò ad osservarlo dall’alto. Vide la terra tonda. Così inventò la ruota per i carri (trolley) e la yurta con lo shanyrak (ostello).
La casa del nomade è la yurta, che è anche l’intero mondo, l’intero universo, la ruota senza fine, come senza fine è il viaggio. Mentre la Shanyrak, l’apertura circolare sulla cima della yurta, è un’eterna ruota, il simbolo della continuità della vita.
I nomadi
La coppia ebbe altri bambini e una volta cresciuti iniziarono anche loro ad andare alla scoperta del mondo. Così la popolazione crebbe a dismisura sulla terra. Alcuni uomini iniziarono a stabilirsi in città, iniziarono a coltivare, costruirono case che non potevano portare dietro, e le città iniziarono ad occupare più e più terre.
Ma alcuni no. Alcuni sono lì, e continuano a viaggiare, a conoscere il mondo, a scoprire nuovi posti.
Come prima, loro hanno poche cose con sé: una mente aperta, abilità utili, amore, e senso di onestà per il mondo.
A volte questi gruppi si incontrano, festeggiano, e poi ognuno per la propria strada.
Finchè le persone si ricorderanno di far parte del mondo e sentiranno il movimento della terra, saranno ancora abili a conoscerne la bellezza e a conservarla.
Questa storia bellissima ha tante cose in comune con i Sàmi, la popolazione nomade della Lapponia. Oltre al fatto di essere nomadi, anche i Sàmi hanno a disposizione un animale (la renna) per esplorare il mondo, e avevano una “casa” molto simile alla yurts. Chissà se questi due popoli hanno origini comuni…
Ci sono così tante analogie (sia per quel che riguarda le leggende, che anche, per esempio, l’architettura) tra civiltà lontane geograficamente che ogni tanto ci penso anche io a delle possibili origini comuni!
Stefania che storia che ci hai raccontato, delicata e affascinante come lo stesso popolo kazako…arricchita dalle tue simpaticissime similitudini poi 😉 Similitudini che effettivamente sono proprio azzeccate!
E quindi anche io avrei un po di sangue kazako nelle vene? Chissà…fra un paio di mesi ti farò sapere 😉
Che succede fra un paio di mesi? Orsa, sai che sono curiosa! 🙂
Quest’articolo è geniale! 😀 L’unica cosa che fa la differenza è che i blogger e i moderni viaggiatori non sono così rispettosi come gli uomini creati dagli dei del Kazakistan. Però è una metafora bellissima e ti ringrazio per avermi fatto leggere un articolo un po’ fuori dagli schemi
Grazie a te, Robi! 🙂
Splendido questo articolo!! E l’analogia con il mondo moderno è brillante, mi piacerebbe che il blogging fosse sempre così puro come in questa leggenda, scoprire il mondo e ispirare la voglia di prendersene cura ❤
Il blogging dovrebbe essere questo, e anche il “normale” viaggiare. Ma purtroppo non tutti lo capiscono. 🙁
Adoro conoscere le leggende degli altri popoli, ed ammetto che difficilmente ne avevo incontrata una più bella. Le tue similitudini con i viaggiatori/blogger poi sono stupende!!
Anche a me piace tantissimo conoscere a fondo la cultura che visito! 🙂 Grazie mille cara!
E’ cosi affascinante scoprire la storia e le leggende di altre popolazioni, i nomadi visti con un termine diverso da quello di oggi…
Verissimo! Scoprire le leggende del paese che si sta visitando permette di scoprire la loro cultura a 360 gradi! 🙂
Oddio ma che bella questa leggenda…. io amo questo tipo di storie, secondo me sono il valore aggiunto di ogni viaggio. Non la conoscevo minimamente, per questo ti ringrazio per avermela fatta scoprire
Adoro andare alla ricerca della cultura del posto che visito… e come farlo bene senza le leggende? 😉
Mi piace il paragone che hai fatto con la modernità, molto interessante questa visione. Bella la storia e affascinante l’Asia Centrale 🙂
è una leggenda incredibile! 🙂
WOW che articolo super interessante, non conoscevo la leggenda è l’ho trovata davvero molto bella. Complimenti e grazie <3
Grazie a te per essere passata! 🙂
Una leggenda che non conoscevo sai Stefania! Viverla attraverso le tue metafore e il tuo modo di scrivere l’ha resa sicuramente più unica e indimenticabile 😉
grazie mille Simo! 🙂 mi hai fatto davvero un bel complimento!
Sai che leggendo questo tuo post, così ben scritto, ho scoperto di avere molte affinità con questa terra. Iniziando dal suo nome! E poi sogno da anni di vivere in una yurta. Grazie.
Allora devi per forza andarci! 🙂