#desertIslandRecord

#DesertIslandRecord – Stamping Music

5 dischi, un naufragio e un pallone da pallavolo. #DesertIslandRecord: contro il logorio dell’isola deserta

Partiamo dai ringraziamenti.
Il primo grazie va a WhereAreAleeVale per aver ideato questo tag.
L’unica regola è “non valgono le raccolte, i best of, i greatest hits e compagnia bella.”
Il secondo e ultimo grazie va a Lemurinviaggio per averci nominato.
Ora passiamo alla musica. Ma prima ragioniamo un po’ sulla richiesta. Bisogna portare solo 5 dischi, e va bene. Bisogna portarli su un’isola, che naturalmente deve essere fornita di un giradischi, e inoltre quest’isola deve essere anche deserta.

Ma deserta in che senso?

All’inizio ho pensato alla solita isoletta fatta solo di sabbia e una palma al centro, tipo quelle delle barzellette della settimana enigmistica. Ma poi, pensandoci bene, potrebbe anche essere che quest’isola sia un po’ più grande. Abbiamo inoltre appurato precedentemente che ci debba essere un giradischi, o almeno una presa di corrente per ricaricare l’Ipod. Possiamo quindi anche supporre che quest’isola abbia delle stagioni, e perché no, potremmo trovarci una macchina nascosta dalla vegetazione. E se Tom Hanks aveva un pallone da pallavolo, non vedo perché non dovremmo averne uno anche noi.

#desertIslandRecords - cast away

Sono quindi arrivato alla conclusione che posso scegliere 4 dischi in base alle stagioni, visto che sicuramente nessuno mi salverà nell’arco di un anno. E vi annuncio subito che non terrò conto delle mezze stagioni, che tra l’altro ormai non ci sono più. E per di più avrò anche la possibilità di crearmi un compagno di merende musicali con il pallone.
Ultimo spoiler, il primo disco sarà dedicato al naufragio.
Non resta quindi che scegliere i dischi, e augurarmi un naufragar dolce in questo mare!

Naufragio: Iosonouncane – Die

#DesertIslandRecord - Iosonouncane
Quale disco migliore per iniziare, se non proprio un disco interamente dedicato ad un naufragio? Quest’album parla di un uomo appena naufragato, sdraiato sulla riva del mare, che guarda il cielo. E di una donna, in piedi sulla riva opposta, che osserva il mare. E tra questi due sguardi si apre un mondo, che può essere racchiuso in un istante in cui il vento, la terra e il sole si fanno immagini universali. Il titolo dell’album, Die, significa in sardo “giorno”, ed in inglese “morire”. Ed è in questo limbo che queste immagini vivono, dove ogni uomo naufraga inevitabilmente.
Mi piace definire quest’album come una burrasca elettro-psichedelica, dove convivono campionamenti di tenores sardi e di flicorno baritono, dove voci di sirene fanno da contraltare alla voce acuta e potente di Iosonouncane.
E sdraiato in riva al mare, dipingerò il pallone con la faccia di: Roberto Giacobbo, per ascoltare un po’ di baggianate pseudo storiche in riva al mare

Inverno : Bon Iver – For Emma, forever ago

#DesertIslandRecord - Bon Iver – For Emma, forever ago
Se sono capitato in un’isola deserta dopo un naufragio, di certo vuol dire che non sono poi così fortunato. Quindi, per la legge di Murphy, è molto probabile che in quest’isola ci sia anche un tempo di cacca. Magari un bell’inverno rigido con la neve. È quindi l’occasione perfetta per ascoltare Bon Iver, che già col suo nome mi augura un buon inverno.
La sua storia è molto particolare. A 25 anni non è soddisfatto dalla sua carriera musicale, viene mollato dalla ragazza e anche dalla band. Un po’ depresso, a inizio inverno si ritira in una casupola nel mezzo delle montagne del Wisconsin, dove guarda caso, ci sono un paio di chitarre scassate, una batteria polverosa e un registratore a quattro tracce. E tra una battuta di caccia e la raccolta della legna, Bon Iver compone un capolavoro, dolce, intimo e intenso, come ogni inverno dovrebbe essere.
E davanti ad un caminetto acceso, dipingerò il pallone con la faccia di: Jon Snow, solo per sentirgli dire “winter is coming”.

Primavera: Explosions in the sky – The earth is not dead cold place

#DesertiIslandRecord: explosion in the sky
Dopo un lungo inverno ecco la primavera, dove voglio sentirmi dire dagli Explosions in the sky che la terra non è più un posto freddo e morto. Lo fanno con sei tracce strumentali, che a me hanno sempre dato una sensazione di rinascita e di luminosità, che guarda un po’ sono i simboli della primavera.
Soprattutto la prima traccia, First breath after coma, è secondo me una canzone che racconta una vita intera. Inizia con una chitarra solitaria che fa il verso ad un monitor cardiaco, poi entra in gioco la grancassa che imita il battito del cuore, e da qui si sviluppa, nei suoi momenti felici, in quelli sognanti, ed in quelli tristi. La fine è lasciata ad una chitarra dolcemente distorta, che sale d’intensità fino ad oscurare tutto il resto, in un perenne La minore (se ricordo bene). Se dovessi scegliere un singolo suono per tutta la primavera, sarebbe questo.
Questa canzone va ascoltata in loop, come è un loop infinito la copertina di quest’album, come è un loop infinito la stagionalità del tempo.
E seduto in un campo di tulipani, dipingerò il pallone con la faccia di: Mike Bongiorno. Sai che trip i quiz in un campo fiorito!? Allegria!

Estate: Calexico – The Black light


Finita la primavera inizia l’estate, e mentre vado alla ricerca di un posto fresco dove appendere l’amaca, trovo la macchina nascosta nella vegetazione di cui parlavo all’inizio. Miracolosamente funziona, tranne l’aria condizionata, ma non importa. Perché sarà il vento a rinfrescarmi, mentre guiderò nella Desert Island 66 Highway. E in macchina non metterò un disco di tormentoni estivi, ma questo discone dei Calexico. Un album torrido, a volte oscuro, da on the road sudati e camicie ingiallite.
E tra chiese in rovina e motel fantasma ascolterò chitarre dal riverbero esagerato, fumando sigarette sotto insegne al neon guaste. Per noi che ormai siamo randagi di quest’isola, per noi che possiamo vivere solo notti da cowboy.
E in un drugstore deserto, dipingerò il pallone con la faccia di: Cleant Eastwood. Perché a volte non servono parole, ma solo sguardi.

Autunno: Beirut – The rip tide

DesertiIslandRecors Beirut
Torno dall’on the road in autunno che, si sa, è la stagione della nostalgia. L’estate è appena finita. Le foglie muoiono. Ricominciano le scuole, finiscono le ferie, e noi ancora pensiamo alla desert island 66 highway. Anche gli orsi, famosi per i loro personaggi positivi come l’Orso Yoghi, Baloo e l’Orso abbracciatutti, se ne fregano e vanno in letargo.
Mi sembra quindi giusto ascoltare quest’album di Beirut. The rip tide, tradotto, significa “la risacca”. E non c’è niente di più triste che stare su un’isola d’autunno ad ascoltare la risacca (alzi la mano chi ha colto il doppio senso). Costruisco quindi una panchina sul bagnasciuga, e mi faccio cullare dagli ottoni balcanici, le marcette mitteleuropee e la voce malinconica di Zach Condon.
E osservando un faro che illumina la costa, dipingerò il pallone con la faccia di: Giovanni Muciaccia, che mi ha prestato un po’ di colla vinilica per costruire la panchina.

Ormai la nostalgia prende il sopravvento su di me. Ma non sono sicuro sia la nostalgia di casa, magari mi sono talmente affezionato a quest’isola che non me ne voglio andare. Chiedo quindi di portarmi altri 5 dischi ai seguenti blogger:
In viaggio con le brioches
La valigia in viaggio
Viaggiascrittori
Viaggiare lontano
Be right back

Lo ammetto, alcune immagini pubblicate in questo articolo sono state prese da internet. Se ho violato i diritti d’autore non uccidetemi, ma mandatemi una mail a info@stampingtheworld.com e le rimuoverò subito!

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