kosovo racconto di viaggio prishtina - veduta di Prizren

Da Prishtina a Prizren. Racconto di viaggio in Kosovo

Se ci pensi, basta la persona giusta al momento giusto per ispirarti a fare un viaggio. Così è stato per me quando ho deciso di andare in Kosovo.


Lo conobbi all’ombra della chiesa di San Sava, a Belgrado. Era un senzatetto, un po’ matto, che iniziò a parlarmi di Dio e mi chiese il perché io non credessi in un’entità superiore.
Esposi le mie ragioni e lui mi disse che credeva in Dio perché i bambini nascono sempre perfetti, con due mani, e per ogni mano 5 piccole dita. E questa era una cosa che non riusciva proprio a capire. Per lui la dimostrazione dell’esistenza di Dio non era da ricercare all’interno di lunghe riflessione filosofiche. Risiedeva piuttosto nella semplicità, nell’ineffabile perfezione della mano di un bambino.
Veniva dal Kosovo. Lo lasciai con il corrispettivo di 5 euro in dinari serbi, e lui con le lacrime agli occhi non finiva più di ringraziarmi.
Fino ad allora il Kosovo mi era sembrato così lontano, così inarrivabile, un paese misterioso che conoscevo solo tramite le notizie e le immagini della guerra al telegiornale, mentre da bambina cenavo con i miei genitori.

kosovo racconto di viaggio prishtina
San Sava a Belgrado

Arrivo in Kosovo

6 anni dopo mi ritrovo in Macedonia, dentro un bus diretto a Prishtina. Arrivata alla stazione della capitale macedone prendo un piccolo pulmino da massimo 15 posti.
Direzione: Kosovo.
Tra la famiglia e gli amici non so chi sia preoccupato di più per questo viaggio. Nell’immaginario collettivo il Kosovo è sinonimo di guerra, case distrutte e tanto buio.
Arrivati al confine, l’autista del pulmino chiede il passaporto a tutti i passeggeri, li raccoglie e sparisce all’interno di alcune casupole basse e bianche.
Nel frattempo, intravedo dal portellone aperto del bus i cani antidroga o antiesplosivo chiusi nelle cellette che abbaiano da dietro la rete.
Ad un certo punto sale anche un agente della polizia del Kosovo, ma solo per dare uno sguardo rapido al mezzo e ai viaggiatori. Probabilmente più una formalità che altro.
Poco dopo torna l’autista e consegna il malloppo con tutti i passaporti. L’unico straniero è il mio, gli altri sono tutti macedoni o kosovari. Trovo facilmente il mio, e finalmente lo vedo, lì, quasi al margine della pagina. È il timbro del Kosovo. Sono dentro uno stato che qualcuno ancora non riconosce.

In viaggio verso Prishtina

È dicembre, l’atmosfera è cupa e i campi sono imbiancati dalla prima neve.
Una delle prime cose che vedo è un enorme ponte in fase di costruzione. Decine di pilastri si ergono fra due montagne, ognuno costruito a diverse altezze e diversi operai su ogni pilastro continuano il lavoro.
La seconda cosa che mi rimane impressa è una piccola sosta per il rifornimento di benzina in un piccolo paesino. Di fronte la pompa di benzina una piccola moschea che quasi stona, o forse si intona troppo bene con la collina alle sue spalle.
Dopo quasi 3 ore e mezza dalla partenza eccomi alla stazione di Prishtina. Prendo un taxi e mi faccio lasciare sulla via principale, a circa 10-15 minuti a piedi dal mio albergo.

Le strade di Prishtina

Non so bene il motivo, forse perché influenzata dall’immaginario collettivo che vuole il Kosovo paese povero e senza arte né parte, ma non pensavo di trovare un viale così ben curato nel centro di Prishtina. Potrei benissimo essere in un’altra città europea, tanto carina e curata è questa strada. Ai lati di questo viale pedonale un susseguirsi di caffè, negozi, e bancarelle che vendono castagne e noccioline.
Per arrivare al mio albergo situato nella parte vecchia della città, attraverso una piazza con un mercatino natalizio. E vedere donne velate che vendono peperoni sott’olio all’ombra di un albero di Natale enorme fa un certo effetto, visto che la maggior parte della popolazione è di religione islamica.
La parte vecchia della città, invece, rispecchia più il Kosovo della mia immaginazione. Stradine acciottolate, vecchie moschee, alcune decadenti, e mercati colorati e rumorosi. E proprio su uno di questi mercati si affaccia la mia stanza. L’albergo non è né bello, né moderno, né confortevole. Direi piuttosto balcanico, così come il suo proprietario che ogni volta mi accoglie con un grande sorriso.

kosovo racconto di viaggio prishtina - Vista dalla mia stanza
Vista dalla mia stanza
Rimarrò a Prishtina due notti.
Esploro la città, bevo vino caldo nei mercatini di Natale quasi come fossi in Austria, cammino per le strade piene di ragazzi che fanno festa e arrivo fino alla periferia, per vedere un po’ di quelle case balcaniche che quasi non mi aspettavo di vedere data la modernità del centro.
chiesa di Cristo Salvatore - kosovo racconto di viaggio prishtina
Chiesa di Cristo Salvatore
In questa città si percepisce il fermento della ricostruzione, un entusiasmo collettivo verso il futuro che in altri posti, anche più moderni, non ho visto. Le persone hanno voglia di uscire, collaborano fra loro e finalmente si sentono libere.
Un episodio, però, mi rimane impresso. Ad un semaforo poco lontano dal mio albergo mi si affianca una signora con i capelli rossi, probabilmente una turista del Nord Europa, con una giacca da neve dai colori sgargianti che poco si abbina con questa città. Con fare sospetto mi chiede se io parlo inglese e, scambiandomi per una del posto, mi chiede aiuto per liberare lei, il marito (un omone che volendo non avrebbe avuto nessun bisogno di aiuto) e le sue 3 figlie dai capelli rossi che sembrano uscite da un film Disney, da un uomo che li sta seguendo. Mi giro e vedo lui, tipica faccia balcanica, giubbotto di pelle, pantaloni un po’ usurati, che ci guarda. Probabilmente vuole solo raggranellare qualche soldo portandoli in giro per la città vecchia improvvisandosi a guida. Oltre al fatto che un’intera famiglia ha chieso aiuto a me, ragazzetta alta 1.50 m per difendersi dall’uomo nero, mi fa sorridere amaramente il pregiudizio che ancora c’è in giro.

Prizren e la neve

Dopo Prishtina vado verso un’altra città del Kosovo, Prizren.
Qui mi aspetta alla stazione del bus Noli, proprietario della Guest house dove alloggerò. Lo vedo, un po’ sdentato, in tuta, che si fa in quattro per darmi la migliore accoglienza possibile.
Con la macchina ci addentriamo nella città e parcheggiamo davanti ad un edificio nuovo.
“Non è quella la mia casa. Tutti i viaggiatori che arrivano qui pensano sia quel bel palazzo, ma non sono così ricco. La mia casa è dietro quel cancello”. Dice sorridendo.
Scendo dalla macchina ed entro a far parte della famiglia di Noli per qualche giorno. C’è il pastore tedesco che di sera scappa per incontri galanti con le cagnette del quartiere; il figlio, che lavora in uno dei bar più frequentati della città; la figlia sedicenne, che in piena crisi adolescenziale sembra sempre imbronciata.
La mia stanza è quella della figlia grande, che sta studiando canto a Tirana. Ci sono peluche, trucchi, smalti, e vestiti di questa ragazza che vedo solo in alcune fotografie.
Avevo programmato di stare a Prizren solo due notti, ma la città mi piace talmente tanto e mi sento così bene in questa casa che decido di rimanere un giorno in più, complice anche la neve che inizia a scendere e che mi permette di vedere la città imbiancata.
vista su Prizren- kosovo racconto di viaggio prishtina
Se Prishtina è la capitale e quindi è più moderna, Prizren potrebbe essere la capitale della cultura del Kosovo. Sembra un po’ un’oasi di pace fuori dal tempo, fuori dai problemi, fuori dalla guerra. D’altronde è chiusa in mezzo ai monti, e dà veramente l’impressione di essere una città magica.
Il padrone di casa poi ci tiene a mostrarmi la chiesa cattolica. Ebbene sì, sono a casa di uno dei pochi non musulmani del paese.
Appena arrivo nella piazza principale, vedo al centro un bell’albero di Natale con la grande moschea a fargli paradossalmente da sfondo. Un gruppo di ragazzini rom mi accerchia per avere qualche moneta, mentre la sorella più grande li osserva poggiata su un muretto poco distante.
Continuo la mia esplorazione tra chiese circondate da vecchio filo spinato, monumenti agli eroi albanesi e negozi di frutta secca.

Nostra Signora di Ljevis - Prizren - kosovo racconto di viaggio prishtina
Nostra Signora di Ljevis – Prizren
Il pomeriggio torno presto a casa per riposarmi un po’ prima di uscire per la sera. Noli viene a bussarmi per chiedere se voglio bere con lui un po’ di rakjia. È il compleanno della moglie, grande assente della casa, che si allontana per mesi per andare in Germania a lavorare come badante per una persona anziana. Lui è triste e continua a scolare un bicchierino di rakjia dietro l’altro mentre mi racconta della moglie e della figlia lontane. Mi mostra video della figlia che canta in un talent show e mi racconta dei periodi bui del Kosovo. Scopro così che lui lavorò come inteprete per l’Onu e per questo sa parlare benissimo tante lingue, tra cui anche il serbo.
La serata va avanti così, tra rakjia, birra, formaggi e biscotti, e la neve continua a scendere su Prizren. Io inizio ad osservare la mia mano, cinque dita come da accordi, e mi viene in mente la semplicità. Noli riempie un altro bicchiere di rakjia, e ricomincia a raccontare della figlia, del Kosovo, del futuro. A me, che alla fin fine sono una perfetta sconosciuta per lui. E penso che forse, anche da questo si potrebbe dimostrare l’esistenza di Dio.

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