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In visita a Salci, borgo dimenticato dell’Umbria

Se anche tu sei appassionato di borghi medievali e paesi fantasma, Salci è il borgo che fa per te!


Una delle ultime tappe del blog tour “L’Umbria che non ti aspetti” è stata a Salci, borgo a pochi chilometri da Città della Pieve.
Parcheggiata la macchina davanti ad una torre di ingresso, entro nella prima corte del paese.

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Qui vedo un signore in tuta da meccanico che, arrivato con il suo furgoncino, apre una saracinesca ed entra in un portoncino. Mi avvicino, sbircio all’interno. Lo spazio non è un granchè, giusto un piccolo magazzino stracolmo di arnesi da lavoro.
Tutto molto normale e bucolico, dirai, se non che questo signore non abita più in questo paese, ma usa solo questi pochi metri quadrati come magazzino per gli attrezzi del suo lavoro. E come lui altre centinaia di persone, che hanno abbandonato Salci rendendolo un borgo fantasma.

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Ma iniziamo dal principio.

Un po’ di Storia

Le prime notizie del borgo medievale di Salci risalgono al 1243, quando a regnare era Federico II di Svevia. Fu fondato su un terreno paludoso e pieno di acquitrini, che diedero però vita ad un’importante produzione agricola.
Il borgo, più o meno così come lo si vede adesso, fu costruito nel XIV secolo.
Data la sua particolare posizione, sulla Via Francigena tra lo stato di Siena e quello di Orvieto, il borgo veniva spesso scelto come luogo di sosta e di riposo dai pellegrini che bramavano di arrivare a Roma, ma anche come luogo di rifugio da banditi e contrabbandieri.

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Finalmente nel 1700 tutta la zona fu bonificata, e dopo l’ultimo duca, Pio Camillo I, che celibe e privo di eredi rinunciò ai diritti feudali del 1816, il borgo passò di mano ad associazioni e privati.
Nel 1975 una società americana propose di acquistarlo, ma i 20 abitanti rimasti nel borgo si opposero duramentente alla proposta. Iniziarono manifestazioni e appesero manifesti con scritto “giù le mani da Salci”. Gli americani, vedendo la cattiva aria che tirava, preferirono andare a cercare il loro borgo dimenticato altrove.
Alla fine degli anni 90 i proprietari del borgo ottennero un finanziamento europeo per il recupero, ma il lavoro rimase incompiuto, e quello che fecero lo fecero male, usando cemento armato in un borgo tutto fatto di pietra.

Il borgo

Il principale accesso alla Città si ha dalla Porta di Orvieto. I piazzali non sono lastricati, ma sono ancora di terra battuta. Le due corti sono separate da una porta con un arco, sormontata da un loggiato rinascimentale a tre fornici, detto “degli spiriti”. Questo corridoio metteva in comunicazione il palazzo ducale con la chiesa, così la famiglia nobile poteva raggiungere la chiesa indisturbata. L’altra corte è chiusa da varie costruzioni, sebbene un tempo ospitasse numerose botteghe, la locanda del paese e gli alloggi della guarnigione militare. Poi non si può non notare il pozzo e la facciata della chiesa di San Leonardo, rimaneggiata nel Seicento, con tre pinnacoli alle estremità poste in questo periodo.

La visita

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Una volta nel borgo, mi sono persa così tra i cortili di questa città abbandonata, a osservare i muri scrostati e le finestre senza vetri. Ad un certo punto ho visto anche una porta su cui c’era scritto con una bomboletta spray bianca paradiso, e facendo attenzione ho visto anche altre due porte, una con scritto purgatorio, e la più larga con scritto inferno. Non so chi l’ha scritto, ma anche questo partecipa a rendere Salci un borgo intriso di mistero.

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E poi, ad osservare le case senza ormai più vita vedo lei, una signora anziana che spicca per il suo baschetto rosso. Mi dice che quella piazza di domenica era piena di gente, che quando c’era la messa era una festa, che i bambini si rincorrevano giocando intorno alla piazza. E mentre ascoltavo le sue parole rivedevo tutta questa gente parlare e muoversi, potevo sentire gli odori provenienti dalle botteghe e le risate delle persone. Poi guardo la Signora Simonetta, che ha gli occhi lucidi e con voce rotta dalla commozione si guarda intorno e mi dice:
“E ora vede cosa c’è? Nulla.
Ormai Salci vive solo nei miei ricordi”.

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